I timori delle aziende e le prospettive future
Londra. Mentre la politica discute ancora di Brexit, in Inghilterra si registrano già i primi effetti dell’uscita dalla UE. Se il termine ultimo su cui ragionano le cancellerie è infatti il 31 ottobre, le imprese fanno da tempo i conti con l’incertezza provocata dall’eventuale uscita del Regno Unito dagli accordi commerciali europei. La logistica è in prima linea: lo spettro della Brexit ha provocato uno sbilanciamento complessivo del traffico di merci presente in Europa.
I dati della logistica inglese
TIMOCOM è uno dei sistemi più diffusi di incrocio domanda e offerta di servizi logistici. Secondo i suoi dati nel primo trimestre 2019, il trasporto di merci verso il Regno unito ha avuto un’impennata del 112%, oltre due volte superiori rispetto all’anno precedente. Quello che potrebbe sembrare un fatto positivo rivela in realtà il sentimento di incertezza verso il futuro delle aziende inglesi. Le imprese stanno, infatti, cercando di stoccare quanta più merce possibile nei loro magazzini in modo da evitare l’impatto di un eventuale no deal sulla catena logistica. Un mancato accordo significherebbe infatti l’applicazione immediata di dazi su tutte le merci importate ed esportate dal Regno Unito verso i paesi dell’Unione Europea.Si tratta, quindi, di una vera e propria “corsa i ripari” prima che possa essere troppo tardi. L’altro volto della logistica è il settore trasporti. Le aziende di trasporto che operano su scala internazionale hanno dovuto, infatti, far fronte a questa impennata di richieste non senza difficoltà. Ad avere più problemi il trasporto su gomma, che ha dovuto spesso trovare altre soluzioni come il trasferimento su rotaia.
Incertezze e nuove opportunità
Un report realizzato da esperti della Bank of England, del London School of Economics Centre for Microeconomics e da alcuni ricercatori delle università di Stanford e Nottingham, ha studiato gli effetti della brexit sull’economia inglese. La produttività delle imprese del Regno Unito ha avuto un calo dal 2016 al 2019 compreso tra il 2 e il 5%. Gli investimenti hanno subito un crollo di 11 punti percentuali. I dati sono il frutto di interviste mensili ad un campione di 7 mila manager di aziende inglesi, dal 2016 oggi. Non solo, la dirigenza inglese ha impiegato in media 200 ore all’anno per prepararsi alla Brexit. La crescente incertezza ha spinto, quindi, il gruppo Adler, azienda campana leader dell’automotive, ad offrire alle aziende che lasceranno la Gran Bretagna a causa delle Brexit delle opportunità nel Mezzogiorno.
“In tutta Italia, ma al Sud in particolare, c’è un gran numero di capannoni industriali in disuso. E allora perché non ospitare le aziende che lasciano il Regno Unito causa Brexit? I problemi vanno trasformati in opportunità”. A dirlo è Paolo Scudieri, presidente del gruppo Adler.
Le ripercussioni di un’uscita senza accordo
I leader dell’industria europea avvertono oggi che le ripercussioni di una Brexit senza accordo sul settore trasporti potrebbero essere gravi. L’uscita della Gran Bretagna dall’UE senza accordo determinerebbe un cambiamento nelle condizioni commerciali condizionando le scelte e la convenienza dei consumatori da un lato e dall’altro della Manica. La fine del commercio senza barriere potrebbe portare ad un’interruzione dannosa del modello operativo “just-intime” dell’industria. Per un costo calcolato intorno ai 54.700 euro (50.000 sterline) per un solo minuto di interruzione della produzione. Allo stesso tempo, le tariffe WTO sulle vetture e sui van potrebbero aggiungere 5,7 miliardi di euro (5 miliardi di sterline) al conto complessivo del commercio di autoveicoli EU-UK. La conseguenza è un aumento dei prezzi per i consumatori nel caso in cui i produttori non riescano ad assorbire i costi integrativi.
Il timore dei produttori del settore automotive è diventato oggi lo sprone per il Governo inglese ad evitare quest’interruzione e questi costi facendo tutti gli sforzi possibili per arrivare a un ritiro regolato del Regno Unito dall’UE.